lL MIO LIBRO DI FIABE
24 mercoledì Dic 2014
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in19 venerdì Dic 2014
Posted Fiaba
in«Devo fare in fretta, se mi trovano sono perduto!» sussurrava fra se il piccolo Mohamed, mentre con un coltellino, intagliava un pezzo di legno; lo aveva trovato sul terreno, dopo uno scontro e lo aveva nascosto gelosamente, sotto la piccola giubba che gli avevano dato.
Da mesi sognava sua madre, i suoi fratelli, faceva di tutto per non dimenticarli, giorno, dopo giorno li sentiva svanire, e questo lo terrorizzava, più delle armi che era costretto ad usare quasi tutti i giorni, si sforzava con tutto se stesso di ricordare i profumi della sua casa, di sua madre, e di suo padre, era così difficile, ormai era passato così tanto tempo, non ricordava quasi più, erano diventati un sogno lontano, irraggiungibile.
Aveva sognato il mare che lo chiamava, e la mamma che gli cantava una canzone, gli diceva: prendi un pezzo di legno, e scolpisci la tua immagine accanto alla mia, così saremo sempre insieme, vicini. E così lui aveva fatto: nella radura, era stato facile trovare un pezzo di legno adatto a quell’uso, anche per il coltello non era stato difficile trovarlo.
Ma trovare il tempo per intagliare quelle immagini, era difficilissimo, se qualcuno se ne fosse accorto, lo avrebbe denunciato, e lo avrebbero fucilato, per quest’atto di debolezza.
Ma Mohamed aveva trovato il modo: aveva scelto un periodo di luna piena, per avere la luce necessaria, e mentre tutti dormivano andava nella radura, rischiando la sua vita, cercava un buco dove nascondersi, e lì passava qualche ora ad intagliare, come gli aveva insegnato suo padre.
Quanti piccoli giocattoli aveva creato per lui e i suoi fratelli, il loro ricordo, gli riportava alla mente alcuni episodi della sua breve fanciullezza.
Ci vollero due settimane, per terminare il suo lavoro, rischiando molto: quante volte aveva sentito avvicinarsi il ruggito del leone, o aveva visto i gialli occhi delle iene, che gli giravano intorno, fiutandolo, una notte un serpente enorme l’aveva sfiorato, era rimasto fermo immobile per diverso tempo, per la paura.
Ma era soddisfatto, del suo lavoro, aveva creato l’immagine di due figure, vicine che si abbracciavano, amorevolmente, e in quel giocattolo aveva infuso tutto l’amore e la nostalgia, che aveva dentro di se, per la sua famiglia.
La portava sul petto dentro la giubba, voleva sentire la sua presenza, gli dava forza, quella che gli mancava, ogni volta che doveva sparare.
Mohamed, sapeva d’avere undici anni, ma non era il più piccolo in quel campo, gli avevano insegnato a sparare e prima ancora ad obbedire, e lui questo lo sapeva bene, era resistito solo due giorni senza cibo e acqua, poi era crollato, ed aveva accettato quella vita, così estranea, a quello che i suoi genitori gli avevano insegnato.
Ma dentro di lui, una fiammella era rimasta accesa, come se la sua anima, si fosse rifugiata in una grotta, al sicuro, dentro al suo cuore, e da lì combatteva, per tenere viva la memoria nella mente di Mohamed, molto spesso, per fargli sbagliare la mira, e per impedirgli di dimenticare: la pietà e l’amore.
Una notte vennero sorpresi da una banda rivale, e si trovò a dover combattere contro soldati bambini come lui, una pallottola gli fu fatale, ma prima di morire, un ragazzo che aveva scoperto il suo segreto, gli si avvicinò, vedendo che voleva parlargli: «amico mio sto morendo, prendi quest’immagine e portala a mia madre, ti prego, fuggi, adesso, nella battaglia nessuno ti cercherà, aiutami, ti prego!» E mentre gli affidava ciò che di più prezioso, possedeva, spirò, tra le braccia di quell’uomo, che gli era amico, perché non lo aveva denunciato.
L’uomo, capì che non c’era più nulla da fare, sparì mentre infuriava la sparatoria, la notte complice, gli permise di scappare lontano, lui sapeva dove abitava la madre di Mohamed, perché c’era anche lui tra coloro che lo avevano rapito.
Chissà perché, qualcosa era scattato dentro di lui, quel giorno, aveva sentito una voce che gli diceva che era sbagliato ciò che faceva, da un po’ di tempo non traeva più alcuna soddisfazione dal suo operato, decise, che alla prima occasione se ne sarebbe andato.
La richiesta di Mohamed parve a lui un segno, decise di adempiere alla richiesta di quel ragazzo, ma c’era qualcos’altro che lo aveva indotto, era l’anima di Mohamed che viveva all’interno dell’immagine: lo spronava, gli parlava, dolcemente, nell’orecchio, e l’uomo per non impazzire, prese la strada verso il mare.
Ci vollero due settimane di viaggio, per arrivare al paesino in riva al mare dove abitava la famiglia di Mohamed, scappando per strade sconosciute, per non farsi acciuffare.
Ma la casa era vuota, nessuno sapeva dove fossero andati: chiese in giro e finalmente qualcuno si fece coraggio e gli rispose; molti lo avevano riconosciuto ed avevano paura a parlargli, lo guardavano da lontano, non osavano nemmeno avvicinarsi.
«Signore, la famiglia se n’è andata, il padre è morto di dispiacere dopo la scomparsa dei suoi due figli, poi la più piccola s’è ammalata, d’una strana malattia, che la rende debole e la fa dormire sempre: la madre ha deciso di portarla in un ospedale, in Italia, ed è partita qualche settimana fa, con quei barconi, sapete.»
L’uomo si sentì impotente, come poteva fare? Poi la vocina nella sua testa cominciò ad urlare «dobbiamo partire, dobbiamo aiutare mia madre, presto trova il modo d’imbarcarti, bisogna raggiungerle, al più presto!» E urlava, e piangeva, nella testa dell’uomo, al poveretto sembrava che la testa gli scoppiasse.
Rassegnato prese accordi con un uomo, sapeva che organizzava i viaggi della speranza, ma sapeva anche a cosa andava incontro, ed aveva paura, ma la voce era così insistente, che non poteva fare diversamente, s’imbarcò, nel buio di una notte senza luna, tremante di paura.
La vocina allora gli disse:« non temere uomo, vi proteggeremo noi, io e la mia mamma, abbiate fede e vedrete che non accadrà nulla di male!»
La traversata fu molto difficile, tanti rischiarono di cadere e annegare, ma sembrava che qualcosa, una forza sconosciuta, impedisse alla nave di capovolgersi, nel frangersi dei flutti, di quel mare agitato, era come una rete che li teneva vicini, e li proteggeva come in un caldo abbraccio d’una madre.
L’uomo capì che non doveva avere più paura, sentì una grande pace scendere dentro di lui, toccò la tasca e sentì il giocattolo che gli era stato affidato, lo accarezzò, come faceva Mohamed tutte le volte che sentiva la mancanza di sua madre, o che aveva paura.
Ma l’uomo non aveva più paura, sentiva la potenza di quell’oggetto, e capì finalmente l’importanza della sua missione.
Il giorno si presentò con un leggero venticello, il mare s’era calmato, e lui esausto aveva chiuso gli occhi, per dormire, ma la voce cominciò a raccontargli i sogni di Mohamed che non aveva realizzato, le sue speranze perdute, e il cuore dell’uomo, si rompeva un poco alla volta, per il dolore che sentiva.
Al secondo giorno, furono rintracciati da una nave militare, era stata l’immagine a far arrivare loro la posizione del barcone e la richiesta d’aiuto, ma questo nessuno lo aveva capito, solo l’uomo l’aveva immaginato, perché ormai, la fede che lui riponeva in quell’oggetto era senza confini: lui aveva capito che in quel giocattolo c’era l’anima di Mohamed.
Nessuno ostacolo, lo avrebbe fermato, perché il giocattolo lo avrebbe aiutato, non aveva più dubbi su questo.
Arrivarono alla banchina, dove furono divisi, rifocillati ed accompagnati in altri luoghi, spostati in altre regioni, finché un giorno, incontrò una volontaria, gli chiese se cercava qualcuno, in particolare, la vocina rispose per lui: « si, cerco una donna con una bimba molto malata, è arrivata qui qualche settimana fa, devo portarle notizie di suo figlio, la prego mi aiuti a trovarla!»
La donna, colpita da quella richiesta così accorata, non perse tempo, si collegò ad un computer ed iniziò la sua ricerca:
«Evviva, ho trovato la persona che state cercando, hanno ricoverato la figlia in un ospedale di Roma, è il Bambin Gesù, mi attenda qui, le preparo i documenti per il viaggio.»
«Hai sentito? L’abbiamo trovata, lo sapevo che ce l’avremmo fatta, finalmente potrò rivedere la mia famiglia!» sussurrò la vocina nella testa dell’uomo, poi cominciò a piangere, sommessamente, ma in un modo così straziante, che il cuore dell’uomo doleva sempre di più.
Ripensava alla scena che aveva visto il giorno del rapimento di Mohamed: erano entrati nel villaggio sparando, volevano seminare il terrore fra la gente, la casa di Mohamed, era l’ultima, quasi sulla spiaggia, davanti due bimbi giocavano, si rincorrevano ridendo, alcuni proiettili falciarono il bimbo più grande.
Fu lui ad afferrare Mohamed al volo, aveva il sole negli occhi, ma l’espressione che aveva visto sul volto di quel bimbo, gli era rimasta impressa nella mente: l’orrore, la paura e la disperazione, ma non un grido, non una lacrima, gli si gelò il sangue nelle vene, a lui che era il più duro della compagnia, il leone , il terrore delle bande!
Si riscosse, vedendo arrivare la volontaria. «venga l’ accompagno al treno, prenda questo è il biglietto, sul foglietto ci sono le informazioni, e questi sono un po’ di soldi per pagare il taxi, o una pensione, avrà bisogno di riposo, dopo un viaggio del genere, e non mi ringrazi, lo faccio con piacere.»
L’uomo si sentiva confuso, tutto era così diverso da come lo aveva immaginato, da quello che gli avevano fato credere! Anche lui era stato catturato bambino, aveva perso la sua famiglia, che era stata sterminata, e dopo la rabbia, era subentrata l’assuefazione ad una vita di brutalità, ora che aveva vent’anni, si sentiva un vecchio, sulle spalle il sangue di mille persone, e sul cuore un macigno di dolore, aveva dimenticato cos’era la bontà, la gentilezza, il sapore delle parole, l’amore che possono contenere.
Cominciò a piangere piano, per non farsi sentire, ma la vocina che lo ascoltava, cominciò a consolarlo «non piangere amico mio, anche tu sei stato una vittima, ma ora hai la possibilità di cambiare, di avere una vita diversa, accetta questo cambiamento, lasciati andare, non combatterlo, hai avuto una seconda possibilità, una vita degna d’essere vissuta, non piangere per ciò che è stato, ma piangi per felicità, per ciò che sarai.»
La vocina da quel momento non parlò più, lasciando l’uomo sgomento, tanto s’era abituato ad ascoltarla, ne sentiva la mancanza, si sentiva perso senza la sua compagnia.
Dopo molte ore di viaggio, arrivarono a Roma all’ospedale; grazie alle informazioni della volontaria, trovò il reparto, e finalmente vide la madre di Mohamed: era una donna piccola di statura, minuta, ed era così triste, accanto al letto della bimba che dormiva con la testa tutta fasciata.
La donna alzò gli occhi a guardarlo, gli disse soltanto: «ha un tumore al cervello.» mentre le scendevano lacrime silenziose.
L’uomo, rimase di sasso, prese il giocattolo e senza parlare, lo diede alla donna che lo guardò stupita.
«E’ un giocattolo che ha costruito vostro figlio per lei!»
In quel momento l’anima di Mohamed uscì dal giocattolo, e come luce si diffuse sopra il lettino della sorella, mentre la mamma usciva dalla stanza per parlare con quell’uomo che non conosceva, e guardava con dolcezza quel bellissimo giocattolo.
Piangeva la mamma di Mohamed nel sentire parlare del figliolo perduto, ascoltava quell’uomo e lo ringraziava per averle portato quell’oggetto, ma l’uomo inginocchiatosi di fronte a lei, le confessò la sua colpa, piangendo come un bambino di fronte a sua madre, lei non sapeva cosa rispondere, ma all’improvviso apparve una luce, e da quella luce uscì Mohamed.
«Madre, perdona quest’uomo, perché non ha colpa, anche lui è una vittima, accoglilo come se fosse tuo figlio, amalo come hai amato me, e vivi per lui e per mia sorella»
Le disse mentre la baciava sulla fronte, e scompariva per sempre, per un mondo dove la pace e l’amore regnano sovrani.
Il mattino dopo, la bimba si svegliò con una gioia profonda dentro di se, cominciò a parlare e a ridere, lasciando la mamma e lo sconosciuto a bocca aperta, anche i medici non riuscivano a spiegarsi una simile guarigione.
C’erano pochi medici in quei giorni, era la vigilia di Natale, decisero di fare una nuova Tac al cervello della bimba, proprio nel giorno di Natale.
Il giorno della rinascita di Fatima, il tumore era scomparso, i medici non riuscivano a spiegarsi una guarigione così veloce, da un tumore così violento, parlarono di un miracolo, ma lo sconosciuto sapeva chi aveva aiutato la piccola e sorrise pensando a Mohamed, nel cuore sperava di poterlo sentire nuovamente.
Pregarono tutti insieme, cristiani e musulmani, per ringraziare ognuno il suo Dio, per questo grande miracolo che è la vita, e lo chiamarono il Miracolo di Natale
15 lunedì Dic 2014
Posted poesia
in
E’ Natale,
per chi con un sorriso
la gioia sa donare,
e con la bontà
riesce a regalare.
E’ Natale, e almeno
per un giorno, i
problemi possiamo
dimenticare!
E’ Natale per tutti,
neri, bianchi, rossi
e gialli, e insieme
impariamo a festeggiare.
Il Natale è di chi ha nel
cuore la pace, e,
diffonderla potrà fare.
E’ Natale per tutto il
mondo, che vuole
ricordare, e l’amore,
vuol diffondere,
allor, suvvia,
nei nostri cuori,
09 martedì Dic 2014
09 martedì Dic 2014
Posted pensiero
in07 domenica Dic 2014
Posted racconto a puntate
in
Cara lasciami dormire, e ricordati di mettere un asciugamano sul cuscino, prima di coricarti!»
Bofonchia Caro, che è quasi addormentato, e non s’è nemmeno voltato per vedere la moglie, tanto conosceva il rito della crema, che da una settimana Cara aveva cominciato, con grande disappunto di Caro, che mal sopportava l’odore di quella crema, ed anche il fatto di potersi nemmeno avvicinare per un piccolo bacio, senza doversi impiastricciare tutto il volto.
«Non ti preoccupare Caro, non ti disturbo» gli risponde Cara un po’, piccata, s’è spalmata la crema da notte, con dovizia, lasciando solo posto per gli occhi e i buchetti del naso, tutto il resto è una sterminata landa bianca e appiccicosa.
«Caro cerca di russare piano, per favore!» Insistette Cara, ma ormai Caro non la sentiva più, era già nel mondo dei sogni, anzi per la precisione era al mare mentre spalmava la crema solare sulla schiena d’una avvenente signora!
La notte passò un po’ agitata, Cara non si sentiva bene, ma non riusciva a svegliarsi, mentre Caro sotto le coperte con un piede, le accarezzava la gamba sognando di nuotare.
Il sabato mattina, vide Caro alzarsi come un sonnambulo: andò in bagno a far pipì, poi traballando, si diresse in cucina, a preparare il caffè per Cara, com’era l’abitudine del sabato, poi si sedette, appoggiò il capo sulle braccia e s’appisolò, lo svegliò bruscamente il sibilo della caffettiera impazzita, che sputacchiava in tutte le direzioni, mentre l’aroma forte del caffè si spandeva nelle stanze. Cara svegliata dall’aroma che le solleticava le nari, s’alzò e svelta si catapultò in cucina.
Caro senza voltarsi le preparò la tazzina e la poggiò sul tavolo, poi alzò gli occhi e per poco, non gli venne un colpo, era così scioccato che non riusciva nemmeno a spiccar parola.
«Cara.. hai il volto.., và a guardarti in bagno, ma cosa ti è successo?» Chiese sgomento, mentre s’accasciava preoccupato sulla sedia, con gli occhi sbarrati per la sorpresa.
Cara pensando che scherzasse, lo prese in giro, ma vedendo che lui non ribatteva, cominciò a preoccuparsi, e andò in bagno, poco dopo si sentì solo un urlo che arrivò di sicuro fino al quinto piano. Nel mentre arrivò Elena che era uscita a comprare il latte e il pane caldo appena sfornato.
«Papà ma questa è mamma che urla, va a vedere, non ti preoccupi?» Chiese stupita della calma olimpionica del padre.
Elena si precipitò in bagno, si sentì un altro urlo, questa volta era di Elena.
«Vieni mamma dobbiamo andare subito all’ospedale, papà preparati, e chiama subito un taxi, dobbiamo portarla al pronto soccorso, è gonfia come un palloncino e rossa come un gambero bollito.»
Nel giro di un quarto d’ora, furono pronti e salirono come tre schegge sul taxi; un’ora dopo cominciarono a svegliarsi Mario e Cristina, che dormivano come due sassi, e non avevano sentito assolutamente niente, e nel parapiglia generale sia i genitori che la sorella Elena avevano pensato di avvisarli dell’accaduto.
Mario e Cristina senza saperlo s’alzarono nel medesimo istante, verso le 11, con la testa rintronata dalla musica della radio sveglia che sparava a tutto spiano una canzone rok che li batteva in testa, e ritmava i loro cuori al tamtam di tamburi africani.
«Mamma, papà, Elena dove siete?» Domandò Cristina, sentendo il silenzio abissale seguito allo spegnersi della radio sveglia, la casa sembrava deserta, Mario per precauzione andò a guardare in tutte le stanze, per tornare stupito più che mai «Cristina, li avranno rapiti?»
«Non fare il cretino, saranno usciti, però è strano, di solito ci avvisano prima dove vanno!» Obbiettò Cristina, pensierosa.
Prese il telefonino e cercò di contattare Elena, ma il cellulare sembrava spento, e la stessa cosa avvenne anche per i cellulari dei genitori, ma questo non la preoccupava sapendo che lo tenevano sempre spento, ma Elena no, questo era preoccupante per Cristina.
Decisero che avrebbero aspettato ancora per un’ora, ma poi sarebbero andati a cercarli, da qualche parte! Alle 13 uscirono di casa, e s’imbatterono nella portinaia, che raccontò loro di un urlo disumano che s’era sentito verso le 7 del mattino, e molti condomini s’erano lamentati, e lei invece s’era veramente preoccupata, ma non voleva fare la pettegola e non aveva domandato niente.
Mezz’ora dopo Elena tornò a casa con i genitori, «meno male mamma, abbiamo trovato un medico veramente gentile e competente, aveva due occhi!» disse Cristina sospirando al ricordo.
«Caro mentre io mi spalmo la crema aiuti tu Elena a preparare il pranzo?»
«Si Cara non preoccuparti, e cerca di spalmarti la crema giusta questa volta, ok?»
«E’ inutile che fai dell’ironia ieri sera ero stanca e non mi sono accorta d’aver sbagliato barattolo, può capitare a tutti di sbagliare!» Urlò arrabbiata Cara.
Poco dopo rientrarono anche Mario e Cristina, «alla buon’ora, costava tanto avvisarci, lo sapevate che ci eravamo così preoccupati, siamo andati perfino alla polizia per sapere se ci sono stati incidenti in zona!» Protestarono tutti e due.
«Vedete è successo che la mamma ieri sera invece di mettersi la solita crema, ha scambiato il barattolo, con quello che papà aveva lasciato in cucina per lucidare il mobile dello zio, sai lo zio Carlo che gli aveva chiesto il favore di lucidargli la macchina da cucire della nonna, beh si è spalmata sul viso quella crema, è ovvio che l’ha leggermente intossicata, e le ha fatto gonfiare il volto e il collo, se l’aveste vista questa mattina, vi sareste sicuramente spaventate, ho piantato un urlo io, e anche la mamma: mi ha detto papà, sai, lui è stato l’unico a mantenere la calma!»
A pranzo finirono per ridere tutti insieme, per il malaugurato incidente, e Cara promise a tutti solennemente che d’ora in avanti, si sarebbe messa gli occhiali per controllare l’etichetta sui barattoli!»
«Era ora!» Sussurrò Carlo.